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La cosa più bella….

Vivere per gli altri per amore

C’è una canzone di qualche anno fa che si intitola proprio: “La cosa più bella”. Cantata da Miriam Masala e scritta dal giornalista sportivo Carlo Nesti, la canzone vuole essere un omaggio ad alcuni sportivi morti proprio durante la loro attività che tanto amavano. Per loro, ciò che facevano, era la cosa più bella…

Ciascuno di noi potrebbe, o forse dovrebbe, ogni giorno porsi una domanda: “Qual è la cosa più bella per me?”. Per essere realmente la cosa più bella, la risposta dovrebbe essere immediata, non sarebbe necessario pensarci su. E invece, molto spesso, questa risposta facciamo fatica a trovarla.

Il 24 aprile Papa Francesco ha riconosciuto, con apposito decreto, l’eroicità delle virtù di Fratel Emanuele Stablum: parliamo di un uomo che, all’apparenza, si è trovato a dover accettare la volontà degli altri su di lui. Desiderava diventare sacerdote e si è trovato a fare il medico. Desiderava vivere e si è trovato a dover accettare la morte. Quasi come se nella sua vita avesse fatto l’esatto contrario della cosa più bella per lui…

Ma a sconvolgere questa “apparenza” è quanto troviamo scritto nel decreto del Santo Padre: “….abitualmente orientato a rapportarsi alle persone e alle situazioni con spirito di fede, proteso a realizzare la volontà di Dio in ogni circostanza”.emanuele-stablum-e-l-amore-per-i-malati

Il refrain della canzone recita: “Non potrò sapere mai se è giusto lasciarci facendo la cosa più bella del mondo”. Emanuele ha lasciato questa terra esattamente in questo modo…: facendo la cosa più bella del mondo per lui! Cosa accomuna i cristiani se non l’amore? E colui che oggi possiamo chiamare il venerabile Fratel Emanuele Stablum ha vissuto la sua vita fino in fondo proprio per amare, riconoscendo quanto la sua fede gli ha insegnato: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Ha amato i suoi superiori accettando gli studi di medicina, ha amato i suoi pazienti riconoscendo Cristo in ciascuno di essi, ha amato la sua vita fino in fondo comprendendo, con spirito di fede, che tutto ciò che aveva davanti a sé era “semplicemente” la volontà di Dio…, Colui che fin da piccolo aveva iniziato ad amare tanto da voler intraprendere il cammino vocazionale.

E allora, continua la canzone: “puoi cogliere un fiore se sai guardare in alto non solo sull’erba ma anche sopra quest’asfalto”. È proprio così: Emanuele, con lo sguardo rivolto verso l’Alto, è stato capace, ogni giorno, di cogliere fiori sopra l’asfalto della sua vita “mantenendo questo suo atteggiamento di pieno abbandono nelle mani del Signore fino alla fine della vita” come si legge nel decreto.

E se il Cardinal Fiorenzo Angelini ha dichiarato che questo medico concettino “incarna perfettamente il ruolo del buon samaritano” è giusto ricordare che il samaritano del Vangelo si trovava a passare di lì per caso e con spirito di fede non è passato oltre ma ha amato colui che ha incontrato sulla sua strada.

Questo era Fratel Emanuele…. Il “caso-Dio” lo ha portato a fare nella sua vita la cosa più bella del mondo: amare fino all’ultimo dei suoi giorni.

 

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Riascolta la puntata dell’Alfabeto della carità di aprile

Nella puntata andata in onda martedì 27 aprile 2021 è stata comunicata la promulgazione del decreto del Santo Padre Francesco che con data 24 aprile 2021 ha riconosciuto l’eroicità delle virtù di Fratel Emanuele Stablum.

 

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puntate precedenti

 

 

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Fratel Emanuele Stablum: Giusto tra le nazioni

La storia di Fratel Emanuele Stablum raccontata a Radio Mater

Nella puntata de “L’alfabeto della carità: itinerario educativo alla scuola del beato Luigi Maria Monti di martedì 24 marzo è stata raccontata la storia di Fratel Emanuele.

Chi era quest’uomo del quale la comunità dei ragazzi dei Concettini di Cantù porta il nome?

Riascolta qui la puntata:

Ti ricordiamo che nella sezione apposita potrai trovare tutte le puntate precedenti.

Buon ascolto

 

 

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16 Marzo 1950 – 16 marzo 2021: ricordando Fratel Emanuele Stablum….

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Il servo di Dio Fratel Emanuele Stablum: il ricordo nel giorno dell’anniversario della sua morte

E’ l’amore che trasforma: un giovedì diverso dagli altri…

È un giovedì come tanti altri: negli Stati Uniti hanno appena finito di festeggiare i 100 anni dalla pubblicazione de “La lettera scarlatta”, un romanzo che è già divenuto un classico della letteratura statunitense. Nulla lascia presagire che, un giovedì come tanti altri, può rappresentare per alcuni l’inizio per altri la fine.

Domani sarà un venerdì di digiuno, tra poco meno di un mese alcuni festeggeranno la Pasqua altri no.

Ma oggi sembra proprio essere un giovedì come tanti altri. Ci sono persone che riescono a far sembrare un giorno come lo sono tanti altri, ci sono invece persone che riescono a rendere straordinario anche un giovedì qualunque. La vita sta riprendendosi chi alla morte ha strappato numerose vite: è giovedì 16 marzo 1950 e non sarà più ricordato come un giovedì come tanti altri.

La notte del 26 agosto del 1909 Emanuele Stablum la trascorre camminando sotto la pioggia, occorrono forze fresche, c’è la guerra ed il governo austriaco ha bisogno di piazzare dei cannoni a protezione contro le truppe italiane. Emanuele fa del suo meglio ma il lavoro manuale non è scritto nel libro della sua vita. Quella notte è un giovedì, per alcuni è un giovedì come tanti altri… per altri no.

È il 1915 quando vede svanire il suo desiderio più grande, diventare sacerdote. Al Signore, che sorride ai nostri programmi, non serve un sacerdote, serve un medico: Emanuele non comprende, eppure il Signore sta esaudendo in maniera diversa il suo desiderio. Egli desiderava stare con Dio come invitava a fare il Beato Luigi Maria Monti, morto pochi anni prima, e il Signore non solo gli permette di stare con Lui, ma addirittura gli concede di guardarLo negli occhi ogni giorno attraverso i malati e diviene così medico con Spirito sacerdotale.

“E’ l’amore che trasforma” dirà, convinto che l’amore con la A maiuscola sia l’incontro con Dio, l’incontro che ti mette a nudo e ti concede la possibilità di vedere ogni cosa in modo diverso, trasformato appunto.

“Le mie sofferenze sono tutte misericordie di Dio verso di me”, queste le parole di Emanuele al suo direttore spirituale. Ai tanti “perché” detti nel silenzio del suo cuore accettando la richiesta dei suoi superiori di intraprendere gli studi di medicina, la misericordia di Dio è la risposta più bella.

Gli anni 43-44 sono anni tremendi, la guerra riempie gli ospedali, un po’ come oggi per cause diverse. Le stanze sono stracolme di feriti ma ci sono ancora letti vuoti. Emanuele decide così che quei letti possono essere riempiti dell’amore di Dio. “Chi salva una vita salva il mondo intero”, un pigiama donato e fatto indossare di corsa ed ecco che decine di uomini destinati a morire per mano d’uomo proseguiranno la loro storia. Ed è emblematica la testimonianza che la signora Carla Di Nepi fa ricordando i suoi genitori salvati da Emanuele: “Se non fosse stato per padre Stablum, io non sarei qui oggi a raccontarvi la storia della mia famiglia”. Anche quello sembra essere un giovedì come tanti altri… per altri no.

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C’è una porta, al secondo piano della Comunità di Cantù, con un cartello: “Comunità Emanuele”. Quella è la scritta più grande, ma ad un occhio più attento si possono scorgere molte traduzioni in diverse lingue della parola: “Benvenuto”. Sono per tutti i “figli” che “l’amore che trasforma” di Emanuele ha generato, perché il concezionista “è il papà degli orfani che diventano perciò suoi figliuoli: provvede ai bisogni dei sofferenti, li cura e li assiste con amore paterno perché essi pure, per il fatto stesso che sono colpiti dalla sventura e hanno bisogno di una mano pietosa e di un cuore amorevole e di una mente superiore a cui affidarsi completamente diventano suoi figliuoli di elezione e spesso anche suoi figliuoli spirituali rigenerati a Cristo”.Fratel-Emanuele-Stablum-alla-comunita-di-cantu

Ogni qualvolta si chiede ad uno dei ragazzi della Comunità Emanuele se sanno chi sia Emanuele Stablum ci si sente rispondere: “Chi? Quello con gli occhiali?  Sarà un dottore… perché ha un camice!”. E quando poi si racconta   la storia di questo uomo col camice e gli si domanda: “Sai che significa?”, la risposta è sempre la stessa: “Allora è grazie a lui se non sono in mezzo ad una strada e ho un posto sicuro dove stare”. Tre anni, compreso il noviziato, passati da Fratel Emanuele nella casa di Cantù e quello sguardo che ti segue attraverso la sua foto appesa poco prima di salire le scale per la Comunità che porta il suo nome, sembrano accompagnare ciascuno di questi suoi “figliuoli” ad affrontare le fatiche della vita.

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La tomba di Fratel Emanuele Stablum presso l’IDI di Roma

Emanuele Stablum esala l’ultimo respiro da malato in un letto. Consumato dalla malattia che, destino beffardo, ha studiato per la sua tesi. Quel “tormento di un’anima” che come San Giuseppe Moscati ha saputo spesso ascoltare, questa volta è il  suo, seppure lo tenga stretto tra i denti o meglio, da “cercare sempre tra le pieghe di un dolore”, perché questa è volontà di Dio, una volontà che Fratel Emanuele   fatica a comprendere ma accetta e la fa sua.

È il 16 marzo del 1950: per alcuni quello è un giovedì come tanti altri…. Per altri no…

Preghiera per ottenere l’intercessione del Servo di Dio Emanuele Stablum

O Padre,

fonte della vita, ti ringraziamo per aver concesso al tuo servo Emanuele Stablum,

religioso e medico a te consacrato nel nome dell’Immacolata,

il dono di sanare il malato nell’anima e nel corpo e di essere pienamente obbediente

alla tua volontà nella prova della malattia e nell’ora della morte.

Concedi a noi, o Padre, per sua intercessione, di vivere nella fede l’amore verso gli infermi,

di godere sempre della salute fisica e spirituale e di ottenere la grazia che in particolare ti domandiamo.

Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen