Nella puntata de “L’alfabeto della carità: itinerario educativo alla scuola del beato Luigi Maria Monti” di marzo sono intervenuti:
Padre Gianluca Ferrara sulle lettere che il Beato Luigi Monti scriveva alle famiglie dei confratelli chiamati alle armi e in particolare a fratel Stanislao Guglielmetti;
Fratel Ruggero Valentini e il diario di guerra di fratel Aristide Premoli;
Padre Jorge Romero e padre Aleandro Paritanti con alcune riflessioni sulle parole del Venerabile Fratel Emanuele Stablum.
“Caro Gesù Bambino..” quasi sospiro queste 3 parole mentre guardo tutto dall’alto. Mi hanno insegnato alcuni anni fa che c’è una netta differenza tra vedere e guardare e quasi come un buon architetto d’interni cerco di comprendere se, dalla mia prospettiva, il presepe di quest’anno sia piacevole alla vista e tutto sia in perfetta armonia. “Caro Gesù Bambino..” ripeto mentre posizioniamo l’ultima ma più importante pietra. Abbiamo posizionato muschio, alberelli, le altre pietre e ora anche Tu “Caro Gesù Bambino” sei proprio il centro della scena.
Il presepe di quest’anno è stato proprio fatto con delle pietre. I ragazzi della Comunità Emanuele hanno dipinto a proprio piacere delle pietre scelte tra tante. Ciascuno ha voluto mettere in quei colori qualcosa che lo rappresenti: la bandiera del proprio lontano paese di provenienza, i colori di una loro passione ecc.
“Caro Gesù Bambino…” ora, una volta completo, il presepe grazie a Te sembra quasi prendere vita. Prima avevamo davanti “solo” delle pietre grigie, ora tutto è uno splendido colore. Ed è questo quello che vogliamo rappresentare: ognuno può “colorare” la vita degli altri. E noi cerchiamo di farlo ogni giorno con i “nostri” ragazzi.
“Caro Gesù Bambino…” all’improvviso ho quasi l’impressione che sia Tu a rivolgerti a me e ti osservo dall’alto con maggior attenzione avvicinandomi di più, mi pare quasi di sentire: “Prendimi!”. E allora comprendo meglio la scena che mi si pone davanti: un piccolo bambino con le braccia aperte che aspetta solo di essere preso in braccio.
Mi tornano alla mente le parole di Papa Francesco che ci sottolinea come un uomo deve guardare un altro uomo dall’alto solo quando si china su di lui per aiutarlo. “Caro Gesù Bambino…” la mia intenzione era quella di affidarti i nostri ragazzi e queste pietre che ti stanno intorno sono proprio loro. Toglierti di là sarebbe ritornare al grigio e perdere ogni colore che hanno appena conquistato.
Anche i giorni successivi passando accanto al nostro bel presepe quella voce che prima era solo un sospirare ora è sempre più una richiesta di aiuto: “Prendimi!” e Ti guardo ancora una volta dall’alto in basso. Ma resisto, i nostri ragazzi dovranno mantenere la luce dei loro colori.
È ormai passato il giorno di Natale e mi avvicino al presepe per sistemarlo un po’: qualche alberello si è piegato, un po’ di terra è caduta dalla cassetta di legno che la conteneva. Guardo ancora una volta quanto si presenta davanti a me dall’alto verso il basso. Non sento più quel “Prendimi!” dei giorni precedenti. Osservo le pietre (i nostri ragazzi) nei loro luminosi colori e mi accorgo che nella capanna, realizzata con corteccia di legno scartato, manca proprio la pietra principale sulla quale avevamo posto Gesù Bambino. Non capisco, guardo meglio, quasi lo chiamo: “Caro Gesù Bambino…”. E constato che quel Bambino non c’è più, è stato portato via. Ne parlo con i ragazzi che mi confermano che anche loro hanno notato questa cosa e mi domandano come possiamo provvedere.
Rifletto e comprendo. Quello spazio vuoto verrà occupato da ciascuno di noi che con la propria vita sarà capace di mantenere vivi i colori degli altri abbassandosi per soccorrerli.
I ragazzi mi hanno sorpreso: nella loro semplicità non mi hanno domandato dove fosse quella pietra ma solo come provvedere. Avevano compreso prima di me. Qualcuno, passando accanto a quel presepe, aveva sospirato con la sua vita grigia: “Caro Bambino Gesù” e si era sentito rispondere: “Prendimi! Darò colore alla tua vita”.
Nella puntata andata in onda su Radio Mater martedi 22 giugno, padre Aleandro Paritanti ha proposto agli ascoltatori di scrivere una lettera alla Vergine Maria…. concludendo la sua catechesi con una poesia intitolata proprio “Cara Maria” e che vi proponiamo qui di seguito.
CARA MARIA
Cara Maria,
scrivo e non so dove cominciare
il silenzio non ha parole
ha battiti di cuore
e ti rincorro nei passi di casa
indaffarata nelle cose possibili
agitata dal vento del mattino
che svela parole misteriose
nel silenzio dell’anima scrivi
un saluto e stupisci al trasparente angelo
che ti fa sorridere al rallegrarsi
di ciò che sfugge alle parole umane
e già il cuore si scioglie alla dolcezza
del fidarsi, certa di quel volto luminoso
che applaude in sorrisi accattivanti
registro e comprendo solo le ultime parole
eccomi, sono serva tua, Signore,
e mi perdo nei significati del mio nulla
mentre tu hai già scritto sì nel vento
che risucchia la voce dell’angelo
e scende di nuovo il silenzio
godimento profondo nel cuore
domando come avverrà la mia vita
mentre corri verso il destino di Elisabetta
specchio umano del divino in terra
e ti accompagno ricalcando i tuoi passi svelti
nel canto sublime della beatitudine dei fiduciosi
generazione contagiata dal profumo penetrante del tiglio
avvolgente come te, Maria, nel cantare grandi cose
(22.06. 2021, radio mater)
Sono intervenuti inoltre nella puntata: Fratel Gianluca Ferrara da Saronno, Padre Jorge Romero da Roma, Fratel Ruggero Valentini da Bovisio Masciago, Padre Mariano Passerini da Kutina (CROAZIA)
Nella puntata andata in onda martedì 25 maggio 2021 su RADIO MATER, Fratel Aldo ha avuto ospite Fratel Gianluca Ferrara, già direttore della Comunità di Cantù e oggi superiore del Santuario del Beato Luigi Monti di Saronno. Fratel Gianluca, sabato 05 giugno 2021 alle 18 per imposizione delle mani di S.E.R. Mons. Paolo Martinelli, Vicario Episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Milano, sarà ordinato Diacono.
Sono inoltre intervenuti Padre Aleandro Paritanti da Saronno, che ha proposto una catechesi sul rapporto tra il Beato Luigi Monti e la Madonna; Padre Jorge Romero e Fratel Ruggero Valentini sulla figura del Servo di Dio Fratel Emanuele Stablum.
C’è una canzone di qualche anno fa che si intitola proprio: “La cosa più bella”. Cantata da Miriam Masala e scritta dal giornalista sportivo Carlo Nesti, la canzone vuole essere un omaggio ad alcuni sportivi morti proprio durante la loro attività che tanto amavano. Per loro, ciò che facevano, era la cosa più bella…
Ciascuno di noi potrebbe, o forse dovrebbe, ogni giorno porsi una domanda: “Qual è la cosa più bella per me?”. Per essere realmente la cosa più bella, la risposta dovrebbe essere immediata, non sarebbe necessario pensarci su. E invece, molto spesso, questa risposta facciamo fatica a trovarla.
Il 24 aprile Papa Francesco ha riconosciuto, con apposito decreto, l’eroicità delle virtù di Fratel Emanuele Stablum: parliamo di un uomo che, all’apparenza, si è trovato a dover accettare la volontà degli altri su di lui. Desiderava diventare sacerdote e si è trovato a fare il medico. Desiderava vivere e si è trovato a dover accettare la morte. Quasi come se nella sua vita avesse fatto l’esatto contrario della cosa più bella per lui…
Ma a sconvolgere questa “apparenza” è quanto troviamo scritto nel decreto del Santo Padre: “….abitualmente orientato a rapportarsi alle persone e alle situazioni con spirito di fede, proteso a realizzare la volontà di Dio in ogni circostanza”.
Il refrain della canzone recita: “Non potrò sapere mai se è giusto lasciarci facendo la cosa più bella del mondo”. Emanuele ha lasciato questa terra esattamente in questo modo…: facendo la cosa più bella del mondo per lui! Cosa accomuna i cristiani se non l’amore? E colui che oggi possiamo chiamare il venerabile Fratel Emanuele Stablum ha vissuto la sua vita fino in fondo proprio per amare, riconoscendo quanto la sua fede gli ha insegnato: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Ha amato i suoi superiori accettando gli studi di medicina, ha amato i suoi pazienti riconoscendo Cristo in ciascuno di essi, ha amato la sua vita fino in fondo comprendendo, con spirito di fede, che tutto ciò che aveva davanti a sé era “semplicemente” la volontà di Dio…, Colui che fin da piccolo aveva iniziato ad amare tanto da voler intraprendere il cammino vocazionale.
E allora, continua la canzone: “puoi cogliere un fiore se sai guardare in alto non solo sull’erba ma anche sopra quest’asfalto”. È proprio così: Emanuele, con lo sguardo rivolto verso l’Alto, è stato capace, ogni giorno, di cogliere fiori sopra l’asfalto della sua vita “mantenendo questo suo atteggiamento di pieno abbandono nelle mani del Signore fino alla fine della vita” come si legge nel decreto.
E se il Cardinal Fiorenzo Angelini ha dichiarato che questo medico concettino “incarna perfettamente il ruolo del buon samaritano” è giusto ricordare che il samaritano del Vangelo si trovava a passare di lì per caso e con spirito di fede non è passato oltre ma ha amato colui che ha incontrato sulla sua strada.
Questo era Fratel Emanuele…. Il “caso-Dio” lo ha portato a fare nella sua vita la cosa più bella del mondo: amare fino all’ultimo dei suoi giorni.
Nella puntata andata in onda martedì 27 aprile 2021 è stata comunicata la promulgazione del decreto del Santo Padre Francesco che con data 24 aprile 2021 ha riconosciuto l’eroicità delle virtù di Fratel Emanuele Stablum.
La storia di Fratel Emanuele Stablum raccontata a Radio Mater
Nella puntata de “L’alfabeto della carità: itinerario educativo alla scuola del beato Luigi Maria Monti di martedì 24 marzo è stata raccontata la storia di Fratel Emanuele.
Chi era quest’uomo del quale la comunità dei ragazzi dei Concettini di Cantù porta il nome?
Il servo di Dio Fratel Emanuele Stablum: il ricordo nel giorno dell’anniversario della sua morte
E’ l’amore che trasforma: un giovedì diverso dagli altri…
È un giovedì come tanti altri: negli Stati Uniti hanno appena finito di festeggiare i 100 anni dalla pubblicazione de “La lettera scarlatta”, un romanzo che è già divenuto un classico della letteratura statunitense. Nulla lascia presagire che, un giovedì come tanti altri, può rappresentare per alcuni l’inizio per altri la fine.
Domani sarà un venerdì di digiuno, tra poco meno di un mese alcuni festeggeranno la Pasqua altri no.
Ma oggi sembra proprio essere un giovedì come tanti altri. Ci sono persone che riescono a far sembrare un giorno come lo sono tanti altri, ci sono invece persone che riescono a rendere straordinario anche un giovedì qualunque. La vita sta riprendendosi chi alla morte ha strappato numerose vite: è giovedì 16 marzo 1950 e non sarà più ricordato come un giovedì come tanti altri.
La notte del 26 agosto del 1909 Emanuele Stablum la trascorre camminando sotto la pioggia, occorrono forze fresche, c’è la guerra ed il governo austriaco ha bisogno di piazzare dei cannoni a protezione contro le truppe italiane. Emanuele fa del suo meglio ma il lavoro manuale non è scritto nel libro della sua vita. Quella notte è un giovedì, per alcuni è un giovedì come tanti altri… per altri no.
È il 1915 quando vede svanire il suo desiderio più grande, diventare sacerdote. Al Signore, che sorride ai nostri programmi, non serve un sacerdote, serve un medico: Emanuele non comprende, eppure il Signore sta esaudendo in maniera diversa il suo desiderio. Egli desiderava stare con Dio come invitava a fare il Beato Luigi Maria Monti, morto pochi anni prima, e il Signore non solo gli permette di stare con Lui, ma addirittura gli concede di guardarLo negli occhi ogni giorno attraverso i malati e diviene così medico con Spirito sacerdotale.
“E’ l’amore che trasforma” dirà, convinto che l’amore con la A maiuscola sia l’incontro con Dio, l’incontro che ti mette a nudo e ti concede la possibilità di vedere ogni cosa in modo diverso, trasformato appunto.
“Le mie sofferenze sono tutte misericordie di Dio verso di me”, queste le parole di Emanuele al suo direttore spirituale. Ai tanti “perché” detti nel silenzio del suo cuore accettando la richiesta dei suoi superiori di intraprendere gli studi di medicina, la misericordia di Dio è la risposta più bella.
Gli anni 43-44 sono anni tremendi, la guerra riempie gli ospedali, un po’ come oggi per cause diverse. Le stanze sono stracolme di feriti ma ci sono ancora letti vuoti. Emanuele decide così che quei letti possono essere riempiti dell’amore di Dio. “Chi salva una vita salva il mondo intero”, un pigiama donato e fatto indossare di corsa ed ecco che decine di uomini destinati a morire per mano d’uomo proseguiranno la loro storia. Ed è emblematica la testimonianza che la signora Carla Di Nepi fa ricordando i suoi genitori salvati da Emanuele: “Se non fosse stato per padre Stablum, io non sarei qui oggi a raccontarvi la storia della mia famiglia”. Anche quello sembra essere un giovedì come tanti altri… per altri no.
C’è una porta, al secondo piano della Comunità di Cantù, con un cartello: “Comunità Emanuele”. Quella è la scritta più grande, ma ad un occhio più attento si possono scorgere molte traduzioni in diverse lingue della parola: “Benvenuto”. Sono per tutti i “figli” che “l’amore che trasforma” di Emanuele ha generato, perché il concezionista “è il papà degli orfani che diventano perciò suoi figliuoli: provvede ai bisogni dei sofferenti, li cura e li assiste con amore paterno perché essi pure, per il fatto stesso che sono colpiti dalla sventura e hanno bisogno di una mano pietosa e di un cuore amorevole e di una mente superiore a cui affidarsi completamente diventano suoi figliuoli di elezione e spesso anche suoi figliuoli spirituali rigenerati a Cristo”.
Ogni qualvolta si chiede ad uno dei ragazzi della Comunità Emanuele se sanno chi sia Emanuele Stablum ci si sente rispondere: “Chi? Quello con gli occhiali? Sarà un dottore… perché ha un camice!”. E quando poi si racconta la storia di questo uomo col camice e gli si domanda: “Sai che significa?”, la risposta è sempre la stessa: “Allora è grazie a lui se non sono in mezzo ad una strada e ho un posto sicuro dove stare”. Tre anni, compreso il noviziato, passati da Fratel Emanuele nella casa di Cantù e quello sguardo che ti segue attraverso la sua foto appesa poco prima di salire le scale per la Comunità che porta il suo nome, sembrano accompagnare ciascuno di questi suoi “figliuoli” ad affrontare le fatiche della vita.
Emanuele Stablum esala l’ultimo respiro da malato in un letto. Consumato dalla malattia che, destino beffardo, ha studiato per la sua tesi. Quel “tormento di un’anima” che come San Giuseppe Moscati ha saputo spesso ascoltare, questa volta è il suo, seppure lo tenga stretto tra i denti o meglio, da “cercare sempre tra le pieghe di un dolore”, perché questa è volontà di Dio, una volontà che Fratel Emanuele fatica a comprendere ma accetta e la fa sua.
È il 16 marzo del 1950: per alcuni quello è un giovedì come tanti altri…. Per altri no…
Preghiera per ottenere l’intercessione del Servo di Dio Emanuele Stablum
O Padre,
fonte della vita, ti ringraziamo per aver concesso al tuo servo Emanuele Stablum,
religioso e medico a te consacrato nel nome dell’Immacolata,
il dono di sanare il malato nell’anima e nel corpo e di essere pienamente obbediente
alla tua volontà nella prova della malattia e nell’ora della morte.
Concedi a noi, o Padre, per sua intercessione, di vivere nella fede l’amore verso gli infermi,
di godere sempre della salute fisica e spirituale e di ottenere la grazia che in particolare ti domandiamo.
Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
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